Critica


Testo critico di Vittorio Sgarbi


Barbara Pratesi, il corpo del colore

C'è una scoperta che meno di altre viene riconosciuta all'Impressionismo, malgrado sia stata di cruciale importanza per gli sviluppi del linguaggio artistico che ha determinato. Prima dell'Impressionismo l'idea stessa della mimèsis, l'imitazione della natura che è stata lo scopo primario dell'arte greco-romana, prevedeva che in pittura il colore, partecipando di una simulazione di mondo espressa in termini di visualità bidimensionale, dovesse annullare quanto più possibile il suo stato di materia dotata di una fisicità volumetrica. Per questa ragione, una volta ottenute le polveri coloranti dai minerali o dai materiali organici da cui si ricavavano, le si diluiva in modo che potessero aderire in maniera ottimale al supporto piatto su cui venivano stese per poi attendere che asciugassero. E siccome più la pennellata era liquida e poco consistente, più asciugava prima e meglio, poteva capitare, a seconda dell'importanza delle parti da dipingere, che il colore venisse steso anche per una decina di velature successive sull'asciugatura precedente, come più di tutti insegnano a fare i fiamminghi quattrocenteschi, conferendo alla pittura quel particolare digradare cromatico che siamo soliti notare, per esempio, nelle fasce di cielo comprese fra i livelli più alti e l'orizzonte o nella resa delle diverse consistenze ed esposizioni alla luce degli incarnati. Ci sono state però delle eccezioni alla regola aurea, qualcuna clamorosa come il Tiziano quasi novantenne del Supplizio di Marsia oggi a Kromeríz, quando il pittore più famoso del mondo che tutto poteva permettersi di fare passando comunque come un genio, afflitto da problemi agli occhi che gli rendevano impossibile la vista anche a poca distanza, rappresenta il delirio dell'orgia sadica ai danni dell'incauto sfidante di Apollo attraverso una sorta di grande colata di cera in fase di progressivo scioglimento, con tutta la fisicità tattile di cui un colore così concepito può essere dotato. Mancasse la vernice ad appianare il tutto sotto lo strato di trasparente, quella pittura avrebbe probabilmente lo spessore di un bassorilievo giocato su sporgenze di qualche millimetro. Non è un caso che al Tiziano maturo, visto come modello di espressività innovativa che era rimasta straordinariamente attuale anche all'inizio della civiltà industriale, guardi Manet e sulla sua scia tutti gli impressionisti che chiedono ai maestri esposti al Louvre una chiave di continuità col passato con cui legitimare la rivoluzione linguistica che vogliono attuare. In questa rivoluzione, a compensare una pittura altrimenti intesa come puro problema della visione, c'è anche spazio per la fisicità tattile di un colore che la produzione seriale mette a disposizione degli artisti in maniera del tutto diversa da come si faceva in antico, non più polvere da ricavare pazientemente per poi essere diluita, ma pasta ottenuta da procedimento chimico che è già pronta per essere disposta sulla tela. E' la fisicità di questo nuovo tipo di colore prima ancora che le sue caratteristiche ottiche, visivamente intensificate rispetto a quanto si poteva ricavare dalle polveri di una volta, a essere sfruttata a dovere dal Monet di Impression, soleil levant per elaborare un'immagine che nel momento stesso in cui si offre come visione finalizzata a un certo tipo di espressione non rinnega più la materialità dello strumento cromatico di cui si serve, al punto che quella visione altrimenti eterea come la nebbia che rappresenta finisce per conseguire, nella dialettica fra la planarità del supporto e la tridimensionalità del colore su di esso apposto, quello che sarebbe lecito definire un corpo, perfettamente avvertibile al tatto se a fare oggi una cosa del genere al Museo Marmottan dove l'opera si trova non si rischiasse l'arresto. Non è questa la sede per ripercorrere tutta la strada che l'espressività del colore in quanto volume ha battuto da Monet in avanti (potrebbero bastare ad evocarla solo tre nomi, Van Gogh, Soutine e Pollock, ma ne ricorderei uno meno noto dei loro, eppure eccezionalmente importante sotto questo versante, Mario Cavaglieri, i colori a rilievo del quale arrivavano già negli anni Dieci del secolo scorso al centimetro di spessore). Mi limito a indicare uno dei punti di arrivo più eclatanti di questo percorso che in buona parte corrisponde anche a quello della modernità artistica novecentesca così come normalmente la intendiamo: il sostanziale dissolvimento, nella comune adozione della tipologia a rilievo, di ogni tradizionale divisione fra pittura e scultura sulla base della sola dimensione spaziale, sancita per certi versi dallo Spazialismo di Fontana, già perfettamente concettuale nel suo darsi come riflessione esemplificata in un oggetto, e per altri totalmente diversi da quelli appena indicati, con una nuova consapevolezza espressiva del ready made di eredità cubista e dadaista, dal materismo di Burri.
Quando quindi ci troviamo a che fare con opere di Barbara Pratesi che rientrano a pieno titolo nella categoria "a rilievo" prima individuata e volessimo considerarle secondo un piglio critico che sia sufficientemente attrezzato, dovremmo innanzitutto prendere atto del fatto che sono odierne declinazioni di una storia dell'arte come quella che ho sintetizzato fino a poche righe fa. Il rilievo, nelle creazioni della Pratesi, pare essere la condizione fisica di concomitanza sinestetica fra due sensi, la vista e il tatto, che stabilisce fra di essi una relazione vincolante di interdipendenza, come se tutto ciò che fosse offerto all'una non potrebbe che essere offerto anche all'altro, e viceversa. Dunque si vede per toccare, prendendo alla lettera quanto proporrebbe la Pratesi in chiave estetica? Non per forza, l'arte è, non meno che fatto fisico, anche la sublimazione di quello stato, quindi metasensorialità, discorso che parte dalla mente e che a essa si rivolge prima di ogni altro destinatario, altrimenti finirebbe per essere un'incessante, frustrante, sadica negazione del godimento sensoriale. L'importante è prendere consapevolezza del fatto che la vista, nei meccanismi percettivi provocati dalla Pratesi come se fossero trappole benigne, è sempre una promessa di esperienza tattile, ogni volta che vediamo una sua opera a rilievo dobbiamo avere l'impressione di avvertirla anche nei nostri polpastrelli, immaginando la sensazione di leggero brivido che ci farebbe se li scorressimo dolcemente lungo le sue superfici agitate e rugose. Immaginare, eccolo il centro permanente della gravità artistica. Sarebbe interessante, per la regola della reciprocità prima ipotizzata, verificare anche l'efficacia del processo contrario, ovvero se a toccare i rilievi della Pratesi a occhi bendati si possa immaginare quello che la vista non vedrebbe. Improbabile. Perché la Pratesi lavora di fino anche quando maneggia il grezzo, punta a reificare nel concreto di una materia che connota cromaticamente e plasticamente in maniera imprevedibile rispetto a una certa ordinarietà del mondo cui siamo abituati atmosfere di natura e di sentimento che all'origine sarebbero impalbabili, inafferrabili, al limite dell'intraducibilità espressiva. Ci accorgiamo, allora, che la reciprocità sinestetica è un'illusione, si tocca non per vedere, ma per aggiungere vista a vista, per fare in modo, cioè, che gli occhi, occhi della mente, beninteso, acquisiscano anche la capacità di toccare. E' un training continuo, incalzante, quello a cui ci sottopone la Pratesi, un corso di apprendimento dal quale non ci si può sottrarre, pena l'impoverimento delle nostre facoltà di comprendonio spirituale. E ci si può sorprendere, nel percorrere le diverse declinazioni liriche che la Pratesi congegna quando si propone di dare corpo tattile al colore, un colore che tenderebbe al puro primordiale del tramonto, della notte, del fuoco, dell'oro, come se si richiamasse a un idealismo metafisico di stampo platonico, ma che poi si estrinseca fisicamente secondo l'infinita, affascinante variabilità dell'impuro, dell'irregolare, dell'imperfetto, attraverso la succesione di digradamenti da tono a tono che coincidono con solidificazioni ora crettose, ora schiumose, ora pulviscolari, che finiamo per sentire addosso con la stessa spontaneità di una malattia della pelle, oppure di stesure tendenzialmente più planari nelle quali gli spessori si alzano in modo piuttosto prodigioso come sbalzi tenuti al minimo grado, che tutta questa autosufficienza della forma calatasi in materia o, se si preferisce, della materia calatasi in forma artistica senta ancora il bisogno di fare riferimento diretto alla vecchia, cara natura naturans del Romanticismo, quasi che le uccisioni del chiaro di luna di futuristica memoria a nulla siano servite se non a fare chiasso momentaneo. In realtà, con buona pace di Marinetti e di tutti coloro che dopo di lui hanno vanamente inteso fare tabula rasa di ciò che li ha preceduti, non esiste alcuna contraddizione fra la modernità dell'esprimersi della Pratesi, figlia, come si è detto, di una precisa storia ormai ampiamente metabolizzata, ma ancora assolutamente attuale, e il bisogno di confrontarsi con una questione che si riconosce alla base della nascita dell'arte come bisogno interiore dell'individuo: il rapporto psicologico che l'uomo instaura con la natura, da essere che medita sull'importanza capitale che ha il suo sentirsi partecipe o meno delle cose della Grande Madre. Finchè tale questione, in mancanza di soluzioni certe e definitive, rimarrà aperta, la Pratesi avrà tutto il diritto di continuare a fare arte perseguendo un naturalismo di ispirazione romantica. Perché il Romanticismo, non ce ne fossimo ancora accorti, non è una parentesi legata al passato, è uno stato perenne dell'anima.

Roma, 29 giugno 2023




Testo critico di Giada Eva Elisa Tarantino


Biennale Milano 2023

Le Opere in tumulto, stratigrafiche e viscerali di Barbara Pratesi, sono stigmate di vita: la tela è solcata come un palmo, e reca le diatesi, i fulgori ed i grumi d'ipostasi che al sacro ed alla terra di genesi rimandano, nel rappresentare simultaneamente il paesaggio illimitato e la vastità riposta in noi stessi. Densi di rimandi culturali ed iconografici, perdutamente ardenti, gli orizzonti dipinti sono panorama d'Arte e corpo vivo d'Artista: duplici affondi, ventrali e sospesi, dell'Intimità.

Milano, 2023
Giada Eva Elisa Tarantino


Testo critico di Salvo Nugnes


Quando ci si approccia all'universo di Barbara Pratesi si scopre di essere immersi in un mondo che nasce da una tavolozza di colori intensi, vivi, materici. La talentuosa artista riprende la natura che la circonda osservandola con occhi nuovi, i suoi. La realtà risulta così scomposta e ricostruita secondo schemi personali, secondo un'intensa passione che regala all'osservatore emozionanti attimi in cui le sfumature, i chiari scuri e la matericità si fondono in modo che l'uno e l'altra siano indispensabili per la compattezza dell'opera.
Un'arte ricca, originale e comunicativa.

Venezia, 2023
Salvo Nugnes


Testo critico di Francesco Gallo

Informale

"L'Informale di Barbara Pratesi è carico di senso umorale della materia, a cui viene conferita una speciale entità magmatica, capace di caricarsi di una stratificazione emozionale di notevole portata, diretta alle derivazioni teoricamente infinito del sublime.
La sua è una factura totalmente intrisa di senso alchemico in cui si confrontano, continuamente, i gradi bassi della fisica materiale, con quelli alti della metafisica spirituale, dell'invisibile.
La cromatica è densa di una pastosità da affresco, quindi coniugata con un senso antiquo et uno moderno, lavorando sulla continuità e sulla disseminazione, sulla manipolazione di elementi diversi/eterogenei, assunti per forza poetica dentro la sintassi nell'opera, a volte nell'indistinzione alchemica, a volte nella citazione evidente ed individuale.
Un'opera sostanzialmente aperta, in una continua invenzione della cosa, che come sempre è speculare ad elaborazione del sè."

Firenze, 2011
Francesco Gallo


Testo critico di Francesco Gallo


"E' come se una grande catastrofe materica seguisse il suo corso, obbedendo ad una logica intrinseca, fatta di meccanismi del sublime che impattano con una forte impronta immaginaria, evocando sogni ed incubi, con effetti fantastici di grande intesità visiva. Si tratta dell'ultimo mondo concepito da Barbara Pratesi, sul suo impatto muscolare con la materia della pittura, in una temperie granulosa di spessore dilatato che si va modulando come una magmatica colata, insinuante, invasiva, debordante, che si specula con i diversi moduli di un informale novecentesco, lontano dall'avere esaurito tutte le proprie potenzialità espressive. E ciò si deve alle persistenze in questa fase avanzata, liquida, della modernità, in cui la sublimazione, il sublime vero e proprio, hanno preso il posto della misura e della compostezza, creando uno sbilancio compositivo a favore dell'emozione, della gestualità.
L'effetto è quello di una esplosione della gioia del fare, del manipolare, che prendono il sopravvento su ogni calibrazione formale, per cui le forme della fenomenica artistica, diventano libere ed ogni volta imprevedibili, scoprendo, finalmente, la vera essenza dell'originalità, che è apparizione di qualche cosa che prima non c'era, nel modo più assoluto.
In realtà, la factura pittorica di Barbara Pratesi è una formazione composta, complessa, che si adatta ad una legge fisica di solidificazione, dando alle sue tortuosità una forma dell'informe che in effetti è una scoperta delle potenzialità dell'imprevisto.
Comunque, si avverte, che per lungo tempo questa vena poetica, musicalmente percepibile oltre che intensamente visibile, riesce ad attraversare ogni opacità della sua stessa consistenza, per fare trasparire delle forme originarie, primordiali, con cui occorre che si prenda confidenza, perchè sarà l'anima del nostro futuro sempre più proiettato nell'antimateria, nell'invisibile, nell'infinito, come limite paradossale del desiderio. La sua forte anima femminile, temprata dai freddi e dai caldi della tecnica e della trasformazione, della potenza in atto, si carica in queste opere, di una qualità artistica contemplativa, come avviene alle risultanze dei veri creativi, per cui vale la forza invisibile del pensiero, mentre tutto il resto è atto secondo.
Il commento di questo incommensurabile gioco di fantasia è dato dalla fascinosità più che dalla parola, da una forte attrazione esercitata da una tattilità, tanto affermata, quanto negata, tuttavia insinuante, come un valore plastico di cui si possono attuare filamenti estetici, che partono dalla scoperta della macchia, della forma di non avere forma, ma in fondo si tratta di un'ottica diversa, come può essere quella dell'essere troppo vicini o troppo lontani, che poi è l'ottica della ricerca del minimo e del massimo."

Forlì, 2007
Francesco Gallo


Hanno scritto per lei...

Testo Lorenzo Maccioni


Barbara Pratesi, un'artista concreta

Il tempo e lo spazio sono i pilastri che sorreggono l'esperienza umana. Il tempo scorre plasmando la nostra esistenza e lasciando tracce nella memoria. Lo spazio, invece, ci offre un luogo in cui esprimerci e interagire con il mondo. È nel connubio di tempo e spazio che l'arte di Barbara Pratesi trova il suo senso più profondo. Nel tessuto in cui la luce detta la sua legge, in cui i bagliori, sia fisici che metaforici, catturano la nostra attenzione e suscitano in noi meraviglia, testimoniando la presenza di qualcosa che va al di là della nostra percezione visiva, che va al di là di tempo e spazio.
Le opere di Barbara Pratesi sono esperienze. Le sue creazioni suggeriscono sempre l'esistenza di ulteriori significati da scoprire, ci invitano a nuovi sguardi e ci tendono la mano per accompagnarci in viaggi introspettivi.
I rilievi presenti nelle opere conferiscono dinamicità e vitalità, arricchendo i colori con luci e ombre sempre nuove. Le sue creazioni si fondono armoniosamente con l'ambiente circostante, richiamando l'attenzione e, allo stesso tempo, esaltandolo.
Fiumi, mari, orizzonti e cieli prendono forma nelle opere di Barbara Pratesi, come anche presenze angeliche e benigne, trasmettendo la gioia della vita, la libertà dello spirito e la forza della natura. Dolcezza e nostalgia si mescolano in un equilibrio sublime, danzando tra luci evocative, notti che custodiscono segreti e riflessi che risplendono come sogni rifratti.
La produzione artistica di Barbara Pratesi è raccolta in questa antologia, quasi imprigionata nella bidimensionalità dei fogli, ma desiderosa di rivelarsi nelle sue molteplici sfaccettature. Il risultato di anni di lavoro, sacrifici e dolori che l'artista ha saputo trasmutare in colori e materia, come se l'arte, nella sua essenza, avesse il compito di denunciare il male e rivelare l'aspetto positivo di ogni esperienza, in ogni tempo, in ogni luogo. Ed è con questo atteggiamento, umile, tenace e resiliente che Barbara Pratesi si è fatta notare nel panorama artistico italiano, ricevendo riconoscimenti ad esposizioni importanti e critiche di personaggi illustri.
Tuttavia, Barbara Pratesi rifugge quel modo di concepire l'arte che ne fa una disciplina prettamente elitaria. Altresì, l'artista conosce in prima persona il potere rigenerativo, oltre che ricreativo, che l'arte è capace di esercitare. Per questi motivi, ha sempre sostenuto ed incoraggiato qualsiasi iniziativa volta ad utilizzare l'arte come strumento benefico, e che l'ha poi portata alla fondazione dell'associazione "I colori nel silenzio", impegnandosi, come vera e propria ambasciatrice d'arte, nell'organizzazione di eventi per far sperimentare la gioia di sentirsi artisti.
L'arte e l'artista sono spesso due entità indissolubili e conoscere l'uno rivela molto dell'altro. Chi ha la fortuna di conoscere Barbara Pratesi, o l'abbia semplicemente incontrata in occasione di qualcuno di questi eventi, sarà certamente in grado di ritrovare molto di lei nelle sue opere. Per coloro che invece non la conoscessero e, sfogliando queste pagine, volessero sapere di più della persona dietro alle creazioni, credo che la mia prospettiva privilegiata di figlio possa contribuire ad una sua presentazione più personale.
Se dovessi utilizzare un solo aggettivo per descrivere Barbara, mia madre, direi che è un'artista concreta. La concretezza è una parte fondamentale della sua arte e della sua personalità. Infatti, se da una parte riesce a rendere concreti anche i concetti più astratti attraverso la materia ed i colori, dall'altra riesce a concretizzare le sue idee ed i suoi progetti con una straordinaria capacità di adattamento. La versatilità è sicuramente un suo tratto distintivo, una caratteristica che le consente di affrontare disinvoltamente contesti estremamente diversi. Barbara Pratesi è capace di essere al proprio centro sia ad una cena di gala che ad una sagra, sia in mezzo alla gente che in totale solitudine, sia sul podio di miss Versilia che su un'impalcatura a decorare il soffitto, sia a realizzare pitture di nudo che a dipingere il vento.
Barbara ha da sempre avuto il dono di rendere tutto semplice, familiare, abituando tutti quelli che la conoscono ad una straordinarietà ordinaria. L'ho vista mettersi al volante per intraprendere viaggi in tutta Europa, macinare chilometri alla guida di camion carichi di pancali o macchine con il bagagliaio pieno di colori. L'ho ammirata accettare sfide sempre nuove che l'hanno portata ad essere una donna capocantiere in Medio Oriente e ad assumere poi il ruolo di amministratrice delegata in una azienda metalmeccanica, senza permettere alla paura del fallimento di dominare le sue scelte.
Barbara con la sua vita e le sue opere ci insegna costantemente che l'arte oggi esiste anche grazie a persone coraggiose che, con tenacia e determinazione, hanno superato la paura dei pregiudizi e dell'insuccesso. Si sono rimboccati le maniche e hanno dato concretezza alle proprie idee.


Testo di Claudia Cappellini


Barbara Pratesi, "I bagliori nella Magia"
Scuderie della Villa Medicea La Magia, 24 settembre 2023

Barbara Pratesi racconta con questi "bagliori nella Magia" tante storie che nascono dalla sua mano e dalla sua testa di artista, dalla sua esperienza, dai suoi amori, dalle sue fragilità e dalle sue certezze. Con animo leggero lei ti parla di sé attraverso altri racconti che stende sulla tela e che poi fa muovere come compagni di viaggio, in viaggio con lei, senza dover per forza cercare qualcosa, ma trovando. Trovando angoli di perfetta armonia e spazi immensi di autentico smarrimento. Trovando l'allegria e la fedeltà, la concentrazione e lo svago, la solitudine e l'unione, entrambe indispensabili.
E come la racconti un'artista? Non la racconti, se non con il suo lavoro, con quello che emerge dalle sue opere, con quello che si nasconde, anche con quello che ci potrebbe essere e che non c'è. La racconti con le sue mani macchiate di azzurro e di viola, le mani che impastano e che creano. E poi la guardi negli occhi e vedi il guizzo, il bagliore, anche lì, di uno sguardo franco. E' curiosa l'artista, sperimenta, prova, sbaglia, ripete, riassembla, ricolora, affonda e riemerge le mani dai colori e cambia le inclinazioni delle punte dei pennelli senza calcolata misura o con goniometro da architetto divino.
La parola artefice le si adatta perché contiene in sé una sfumatura di storicità che connota il suo lavoro in una maniera più precisa rispetto alla parola artista. Nella parola artefice ci sta dentro il sudore delle mani che si muovono per trovare la soluzione al problema estetico o la resa dell'idea, l'artefice ha le mani sporche di colla, di terra e di carta. L'artefice è chi immagina a briglie sciolte senza limiti, è quello che nel suo studiolo fabbrica l'universo.

Benvenuta dunque Barbara Pratesi in un luogo di storia e magia dove gli artefici sono di casa da secoli.

Quarrata, 5 luglio 2023
Claudia Cappellini


Testo di Lucia Agati


Getsemani

Una Via Crucis di soli sguardi. Il Calvario, e tutto il suo Dolore, attraverso gli occhi. Gesù, inondato di Luce, si affida. Gesù, inondato di sangue, si consegna al Padre. Gesù, circonfuso d'oro, risorge.
Quattordici piccoli dipinti che non sono qui.
Sono rimasti fra Gerusalemme e Betlemme, dove Barbara Pratesi ha vissuto a lungo, nel corso del 2012. Dove ha stabilito la sua residenza artistica, là dove la sua ricerca sulla materia ha trovato la Via per trasformarla in Spirito.
Fu spinta dal desiderio di trovare una motivazione per continuare a dipingere. Un artista è costretto a fare i conti con i vuoti che si parano all'improvviso. Senza annunciarsi. È costretto a guardare i suoi abissi. Ma ogni anima ha, intorno a sé, voci pronte a sostenerla, e a guidarla, sempre che le sappia, e le voglia, ascoltare.
Voci che non gridano mai, piuttosto sussurrano. E un frate cappuccino di Pisa un giorno sussurrò: Gerusalemme.
Barbara partì e la permanenza non fu facile, perché talvolta i luoghi sacri al mondo sono circondati da ostilità.
Visse il Getsemani e la spinta spirituale che ne ricevette fu fortissima. Poderosa. Là dove Gesù rimane solo. Là dove accetta la sua Passione. Là dove viene tradito. Solitudine, accettazione, tradimento.
Il Cristo è sigillo dell'Umanità. Il Cristo è l'Uomo. Il Cristo è una Via Crucis di sguardi che si posano su chi guarda.
Barbara ritrova la sua motivazione e tutte le porte si aprono. Tutto diventa facile tra Gerusalemme, Betlemme e Ain Karim, là dove Maria incontra Elisabetta. La Visitazione. Si sente a casa Barbara. E quando riparte lascia tutte le Stazioni. Lascia la sua Via Crucis e ritorna con un bagaglio di Cielo. Perché tutti i Dolori fanno strada, e la Passione di Cristo si fa strada dentro di noi. E per noi.

Pistoia, 11 luglio 2023
Lucia Agati


Testo di Aligi Fiore Pisapia


Ha forse confini il cielo?
E l'orizzonte segna l'inizio o la fine?
L'azzurro che tinge le acque degli oceani è il riflesso di Dio?
Se l'arcobaleno è figlio della pioggia chi scompose la luce in quei colori?
E poi se il pensiero si trasforma in movimento cosmico e l'artista imprime su tela il riflesso del creato e riesce a trasmettere le sue sensazioni agli altri allora
in ogni posto e in ogni dove l'espressione troverà dimora.
Barbara con le sue opere è cittadina di ogni posto e di ogni dove, lei dipinge, il divenire di ogni forma, che sia cielo, che sia mare, o che sia l'immenso nella sua perfezione più assoluta,
il vedere espresso da lei diventa ciò che noi ammiriamo.
Il viso della donna posato sul collo sinuoso è un'immagine di raffinata bellezza, il volto come scultura d'alabastro ricorda profili antichi del mistero egizio.
Barbara cattura con lo sguardo, gli occhi di giada rispecchiano l'imperscrutabilità dell'anima e dell'essere incontenibile e divino dell'artista.

Aligi Fiore Pisapia, per Barbara